Se Dio è Maschio, i maschi si credono dio

Nella storia dell’Umanità, Dio nacque donna… Nella mente umana l’idea di Dio nacque strettamente vincolata al femminile. Per millenni, gli esseri umani, stupiti di fronte alla capacità della donna di far nascere dal proprio corpo il miracolo della vita, venerarono la Dea, vedendo nel corpo della donna un’immagine divina e nella Luna, che governava i cicli della donna, un simbolo sacro.
Millenni più tardi, e a partire dai cambiamenti culturali e sociali provocati dalla rivoluzione agraria (con la necessità di difendere attraverso le armi e la violenza granai e territori), l’idea ancestrale si andò trasformando. La cultura convertì Dio in maschio e in un maschio guerriero. Il Dio maschile dominò le culture del Mondo antico. Marduk soppiantò a Babilonia la dea Inanna-Ishtar, Osiris prese il posto di Isis in Egitto, Zeus quello di Gea in Grecia. Anche Yahweh soppiantò la dea Asherah, tanto amata a Canaan… Yahweh, il Dio della Bibbia, è uno degli dei di questa tappa dell’Umanità. È un Dio maschio, tribale e guerriero.
Sono trascorsi gli anni e ancora oggi il Dio nel quale crediamo continua a essere un Maschio. Giudice, re, guerriero, padre… sempre pensato, invocato e adorato al maschile. È così nelle grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo, islam. E se nelle religioni politeiste ci sono dee, gli dei maschili tendono comunque a essere predominanti.
Credo che questa “mascolinizzazione” del divino contribuisca, come nessun’altra caratteristica della nostra cultura religiosa, tanto nella sua versione cattolica come in quella protestante o evangelica, alla disuguaglianza tra uomini e donne. E alle diverse espressioni di violenza degli uomini contro le donne.
Nell’iconografia cristiana, nelle immagini che abbiamo visto da bambine, Dio è un anziano barbuto e severo. O un Re potente assiso sul suo trono. È anche il Dio degli eserciti, un generale. Questo Dio è anche padre. Ha un solo figlio, che è a sua volta dio e che “si fece” uomo, il che suggerisce che la sua essenza sia in primo luogo maschile. “Fatto uomo”, fu inviato da suo padre a soffrire e a morire per calmare la collera generata dal peccato di disobbedienza commesso all’inizio del mondo, il peccato originale, e fu col sangue che questo dio-maschio ci riscattò…
La terza persona di questa “trinità”, di questa “famiglia divina”, è lo spirito santo. E nonostante in ebraico la parola spirito sia una parola femminile – ruah, la forza vitale e creatrice, quella che anima tutte le cose – il dogma ci insegna che fu questo spirito a rendere gravida Maria, il che suggerisce che anche la sua essenza sia maschile…
Il cattolicesimo cerca di equilibrare la stravaganza del dogma trinitario esaltando quella contadina che fu Maria di Nazareth, la madre di Gesù, attraverso un culto idolatrico. E per quanto la sacralizzazione di Maria possa apparire come un modo per recuperare la presenza della Dea, la mariolatria ha contribuito alla misoginia tradizionale del cristianesimo avviluppando Maria in una serie di dogmi che la trasformano in uno stranissimo “modello” di donna: nata senza peccato, madre ma vergine prima, durante e dopo il parto, sposa senza relazioni sessuali con suo marito Giuseppe, a conoscenza da sempre del destino del figlio e pronta ad accettarlo, morta ma elevata al cielo nel suo corpo incorrotto… Imitabile solo nel suo sottomesso e umile “consegnarsi” al piano di Dio. I rappresentanti maschi di questo Dio maschio rafforzano nelle donne l’idea che la loro missione consista nel “donarsi” agli altri, anche quando non ricevono nulla in cambio o addirittura quando vengono maltrattate.
Quando riflettiamo sulla violenza contro le donne – e non bisogna solo riflettere ma anche agire – credo che dobbiamo tenere conto delle tracce funeste che la cultura religiosa costruita a partire da queste credenze ha lasciato nella mente di uomini e donne da molto tempo.

Maschi come dei
Se Dio è Maschio, i maschi si credono dio. Se Dio è Uomo, gli uomini agiscono come dei. E se Dio è immaginato come un potere arbitrario, che premia e punisce, che decide come vuole, gli uomini che si credono dei e agiscono come dei sono autoritari e anche violenti.
In un incontro regionale di donne evangeliche svoltosi a Buenos Aires qualche anno fa, la pastora Judith VanOsdol lo disse con forza: «Le Chiese che immaginano o rappresentano Dio come un uomo devono farsi carico dell’eresia che questa immagine comporta. Perché se Dio è maschio, il maschio è Dio… Dobbiamo ampliare i nostri immaginari per vedere che Dio trascende il genere, non è né maschile né femminile… L’origine della tentazione nel giardino dell’Eden fu il desiderio di essere come dei. Questa tentazione resta viva anche oggi… Quando i maschi si pongono come dei al di sopra delle donne, continuiamo a vivere le conseguenze di questo peccato, lo squilibrio e l’ingiustizia di genere».
E che dire di Gesù di Nazareth, nostro punto di riferimento, nostra ispirazione? Gesù, che non venne a morire ma che ci insegnò a vivere in eguaglianza nel progetto che lo appassionò, il Regno di Dio, concepiva questo regno come una comunità in cui nessuno sta in alto o in basso, dove nessuno ha molto affinché a nessuno manchi alcunché. E ai costruttori di questo regno, tutti, uomini e donne, propose di intendere il potere come servizio e di agire sempre con cura, con compassione e senza violenza, atteggiamenti che la cultura attribuisce solo alle donne. Quando Gesù, figlio di una cultura patriarcale come quella del suo tempo e della sua religione, parlò di Dio, lo chiamò – non poteva essere altrimenti – “padre”. Però qualcosa doveva aver intuito se ci presentò Dio in una versione maschile – come un pastore che cerca tenacemente una pecorella smarrita o come un padre che offre un banchetto – ma anche in versione femminile, paragonandolo a una donna che cerca disperatamente una monetina perduta o a una casalinga che impasta la farina per fare il pane.
Riflettendo sulla violenza contro le donne, credo che l’abuso sessuale, una delle più comuni espressioni di questa violenza, possa anche essere visto a partire dal potere maschile divinizzato nella religione tradizionale.
L’abuso sessuale, che sia uno stupro per strada o un’insidiosa violenza domestica, non è conseguenza di una debolezza morale né di un istinto irrefrenabile dei maschi né è solo peccato di lussuria. È la suprema espressione di un abuso di potere, in questo caso con l’arma del fallo, zona del corpo sacralizzata nell’ebraismo – con la circoncisione del pene si sigillava l’alleanza con Dio –, la religione di Gesù, dalla quale nacque il cristianesimo.
E mentre con questo rito antico si consacra nell’organo maschile l’alleanza con il Dio Maschio, la sessualità della donna e il suo corpo sono tradizionalmente associati nella Bibbia alla tentazione e al peccato. E le mestruazioni all’impuro. Tutte queste associazioni che circolano nel patrimonio culturale dell’Umanità hanno radici religiose e legittimano la discriminazione, l’ingiustizia, la violenza e l’abuso sessuale.

A proposito di “una teologia della donna”
Espressione quotidiana del Dio Maschio è il fatto che i rappresentanti di Dio siano maschi. Lo sono totalmente nel cattolicesimo e tra gli ortodossi, e lo sono maggioritariamente in altre denominazioni cristiane, protestanti ed evangeliche. La Chiesa cattolica ha negato in molte occasioni, e con documenti inappellabili, la possibilità del sacerdozio femminile e persino del diaconato delle donne, argomentando che Gesù scelse solo uomini e che Gesù era un uomo, dato “non irrilevante” per la teologia, secondo quanto affermato da papa Benedetto XVI qualche anno fa.
Come superare questa “rilevanza” del maschile associata al divino? Non è facile. Anche se, per tanti aspetti, papa Francesco ha aperto molte finestre e alcune porte, non è avanzato molto su questo versante. E ha detto che è necessario elaborare “una teologia della donna”. Ma “la donna” non esiste. Esistono le donne, che sono, come gli uomini, diverse, distinte, non tutte madri, presenti ormai in tutti i campi del sapere umano, plurali nelle loro aspirazioni… E inoltre ci sono molte donne che hanno già prodotto questa teologia che sarebbe ancora da elaborare…
Da anni le donne hanno elaborato una teologia con una nuova visione, mettendo in evidenza le contraddizioni assunte come “eterne” nella cultura religiosa patriarcale. La teologa femminista brasiliana Ivone Gebara lancia, per esempio, questa domanda provocatoria: «Perché il sangue dell’uomo Gesù è “redentore” e il sangue delle donne è considerato “impuro”»?
La teologa femminista tedesca Dorothee Sölle si chiedeva in che misura «la cultura dell’obbedienza e della sottomissione», insegnata alle donne come massima virtù, abbia favorito l’instaurarsi di dittature politiche. Sölle legava questa idea, altrettanto provocatoria, alla legittimazione offerta dalle donne tedesche al nazismo.
Un’importante corrente di teologhe femministe mette in discussione gli attributi con i quali la Chiesa cattolica ha rivestito Maria. Elizabeth Schüssler Fiorenza segnala tre danni provocati alle donne con l’immagine tradizionale di Maria: si enfatizza la verginità a scapito dell’esercizio della sessualità; si vincola l’ideale della vera femminilità alla maternità; si attribuisce una valenza religiosa all’obbedienza, all’umiltà, alla passività e alla sottomissione, indicandole come virtù cardinali delle donne.
Altre teologhe hanno segnalato l’abisso apertosi storicamente tra gli atteggiamenti di Gesù di Nazareth verso le donne e le posizioni delle Chiese che dicono di rappresentarlo. La religiosa cattolica Elizabeth A. Johnson afferma: «Il cuore del problema non sta nel fatto che Gesù fu un uomo, ma nel fatto che la maggioranza degli uomini non è come Gesù, poiché la loro identità e le loro relazioni sono definite a partire dai privilegi che conferisce loro la cultura patriarcale». E Mercedes Navarro Puerto, altra teologa femminista, dice: «Perché ci si chiede che cosa sta succedendo alle donne che hanno tanti conflitti con la religione, invece di chiedersi che cosa sta succedendo alle religioni, considerando che le donne si sentono tanto a disagio al loro interno e molte continuano inesorabilmente ad andarsene?».

Quell’abisso tra le Chiese e il movimento di Gesù
Riconoscere che la violenza degli uomini contro le donne affonda le sue radici nella mascolinizzazione di Dio non è un’idea facile da digerire. Come non lo è mettere in discussione il dogma centrale del cristianesimo predicato tradizionalmente: che siamo stati redenti, salvati dalla croce, dal dolore, dalla sofferenza. A partire da questa credenza, le donne per salvarsi dovrebbero “farsi carico della loro croce”, sopportare i maltrattamenti, le botte, l’abuso, la violenza. E i poveri per salvarsi dovrebbero portare la croce della fame, dei bassi salari, delle ingiuste condizioni di lavoro e della mancanza di opportunità.
Dice Ivone Gebara: «La croce insanguinata, che avrebbe dovuto generare un’intensa lotta cristiana per frenare la violenza ingiusta, ha generato la falsa idea che la sofferenza e il sacrificio siano necessari per avvicinarci a Dio, per salvarci».
Joann Carlson Brown e Rebecca Parker traggono dalla teologia della redenzione che ha esaltato il sacrificio questa riflessione: «Il cristianesimo è una teologia abusiva che glorifica la sofferenza. C’è da sorprendersi che ci sia tanto abuso nella società moderna se l’immagine o la teologia predominante è l’“abuso divino di minori”: Dio Padre che esige e porta a compimento la sofferenza e la morte del proprio figlio?».
No, non bisogna “elaborare una teologia della donna”. Credo che ciò che bisogna fare è ascoltare quello che le donne dicono della teologia tradizionale. Ascoltiamo di nuovo Ivone Gebara: «Alcuni movimenti storici come quello delle donne investono il cuore stesso delle istituzioni cristiane. Il cristianesimo non è più lo stesso quando le immagini maschili di Dio sono sospettate di sessismo. Il cristianesimo non è più lo stesso quando le donne, per disagio, rifiutano la loro appartenenza alla Chiesa. Il cristianesimo non è più lo stesso con le ermeneutiche femministe della Bibbia e le prospettive teologiche femministe. Il cristianesimo non è più lo stesso a partire dalla ricerca da parte delle donne della loro libertà, espressa oggi in tutto il mondo in tanti modi diversi».
A volte l’abisso tra cristianesimo delle Chiese cristiane e movimento di Gesù di Nazareth mi sembra così profondo che mi scopro d’accordo con quanto disse il teologo tedesco (un uomo!) Eugen Drewerman: «Come Geremia pregava per la caduta di Gerusalemme, dobbiamo pregare per la caduta dell’istituzione ecclesiastica in modo che Dio possa cominciare quanto prima a scrivere nel cuore degli esseri umani ciò che davvero vuole dire loro».
Così come mi viene in mente ciò che disse un altro teologo, Paul Tillich: «Gesù resusciterà dalla tomba di questa Chiesa».
Spero che, come migliaia di anni fa, quando arriverà questo tempo nuovo, che aspettiamo e desideriamo, saremo noi donne ad annunciare: è risorto!


L’autrice di questo articolo è María López Vigil, giornalista e scrittrice cubano-nicaraguense. Caporedattrice della rivista “Envío” dell’Uca (Università Centroamericana) di Managua. Autrice, insieme a suo fratello José Ignacio López Vigil, del celebre radio-romanzo “Un tal Jesús”. Tra i suoi libri più noti, la biografia di Romero, Monseñor Romero, piezas para un retrato (pubblicato in Italia con il titolo Monsignor Romero. Frammenti per un ritratto, 2005).


  * Illustrazione di Stefania Anarkikka Spanò

Leggi la presentazione di Adista alla pubblicazione da cui questo articolo è tratto

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