Il nodo del Concordato soffoca la libertà religiosa

Nel suo costituirsi in Regno unitario l’Italia visse i suoi primi decenni in una grave contraddizione. L’art. 1 del suo Statuto, ereditato dal dissolto Regno di Sardegna, recitava: la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri Culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle Leggi. Il papa Pio IX, che di quella religione era il capo indiscusso, si era dichiarato, però, prigioniero politico di quello Stato dopo averlo scomunicato per la terza volta perché aveva fatto della sua Roma la capitale del neonato Regno d’Italia, aprendo quella che da allora fu chiamata la “Questione romana”. Per evitare equivoci dichiarò anche di non accettare la Legge delle Guarentigie, che il Parlamento italiano aveva approvato nel 1871, con la quale si definivano i rapporti fra il nuovo Regno e l’ex Stato pontificio e fra la Chiesa e lo Stato in Italia; stanziava una somma di risarcimento per la perdita dei territori da versare anno per anno dal governo italiano, ma che, rifiutata dal papa, fu conservata in un apposito conto, in attesa di un trattato di pace. Tre anni dopo il papa, con una comunicazione ai vescovi italiani, rese la frattura ancora più profonda imponendo ai cattolici il non expedit (non conviene), con cui vietava loro di prendere parte alla vita politica obbligandoli a disertare le elezioni.

Il divieto, reso obsoleto dalle trasformazioni della società italiana, dalle numerose deroghe e dall’introduzione del suffragio universale maschile, fu abrogato ufficialmente da papa Benedetto XV nel 1919. Nei fatti era stato già messo in discussione dal Patto Gentiloni concluso fra i liberali e la neonata Unione Elettorale Cattolica Italiana, creata da Pio X con l’intento di contrastare l’avanzata dei socialisti: aveva consentito nel 1913 l’elezione di “candidati cattolici” in Parlamento. La Conciliazione si ebbe, però, unicamente con il governo Mussolini, il solo disposto a concedere alla Chiesa italiana e alla Santa Sede quelle condizioni e privilegi che la gerarchia vaticana riteneva necessari per la funzione universale del papato, per la preminenza della Chiesa nella società italiana e per lo svolgimento della vita religiosa nelle parrocchie. Nel febbraio del 1929 furono firmati infatti i Patti lateranensi costituiti da un Trattato, con annessa Convenzione finanziaria, e un Concordato.

Il primo sanciva la fine dello stato di guerra fra Regno e Stato pontificio dando origine allo Stato della Città del Vaticano (SCV). Dichiarava solennemente: Art. 1, l’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’articolo 1° dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato; Art. 2, l’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo. Un primo allegato definiva i confini del territorio su cui si sarebbe esercita tale sovranità, un secondo indicava gli immobili in territorio italiano con privilegio di extraterritorialità e quelli che sarebbero stati esenti da espropriazioni e da tributi. Con questa finzione si dava continuità al potere temporale, che per tutto il medioevo e l’età moderna aveva assicurato una relativa indipendenza al papato, in verità affidata all’interesse degli Stati cristiani ad evitare, per quanto possibile, che la suprema autorità religiosa della cattolicità fosse “suddita” di un solo sovrano, potenziale nemico.

Simbolicamente lo SCV aveva la stessa funzione del dissolto Stato pontificio, in un contesto politico mondiale radicalmente diverso!

La Convenzione Finanziaria definiva i rapporti economici fra Santa Sede e Regno d’Italia garantendo alla prima un risarcimento di 750 milioni di lire a beneficio della Chiesa e una rendita perpetua di 50 milioni annui da interessi su un miliardo in titoli di stato, in qualità di indennizzo per la perdita dei proventi dell’antico Stato della Chiesa subita dal papato in dipendenza degli avvenimenti del 1870, e per le spoliazioni subite dagli enti ecclesiastici a causa delle leggi eversive.

Risolta con il Trattato e la Convenzione la questione romana e assicurato alla Santa Sede un ruolo che la mettesse nella condizione di poter trattare alla pari con gli Stati di tutto il mondo attraverso i Nunzi apostolici accreditati come ambasciatori, si provvide con il Concordato a regolare le condizioni della Chiesa in Italia.

Esso garantiva alla religione cattolica una condizione privilegiata che desse sostanza all’articolo dello Statuto, ereditato dal Regno di Sardegna, che la definiva la sola Religione dello Stato. Ne derivarono: stipendi per i parroci e per i vescovi, e la loro esenzione dal servizio militare; l’impossibilità per gli ecclesiastici di essere assunti in un impiego o ufficio pubblico senza il nulla osta dell’Ordinario diocesano e, per quelli apostati o irretiti da censura, di essere assunti o conservati nell’insegnamento, in un ufficio o in un impiego, che li ponessero a contatto immediato col pubblico; l’uso dell’abito ecclesiastico da parte di preti e di religiosi, ai quali fosse stato interdetto della competente autorità ecclesiastica, divenne soggetto alle stesse sanzioni e pene con le quali era punito l’uso abusivo della divisa militare; la creazione dell’Ordinariato militare come diocesi, retta da un vescovo, col grado di generale, e gestita da preti cappellani, col rango di ufficiali, l’uno e gli altri inseriti nelle Forze Armate dello Stato per assicurare loro l’assistenza religiosa; l’insegnamento obbligatorio, con diritto all’esonero, della religione cattolica nelle scuole pubbliche impartito da docenti nominati dall’autorità ecclesiastica e da essa revocabili; il matrimonio, restato indissolubile per tutti, ebbe valore per lo Stato anche se celebrato in Chiesa; il riconoscimento come giorni festivi di quelli stabiliti dalla Chiesa, oltre tutte le domeniche.

Un Regno cattolico, quindi, pur se ispirato all’ideologia fascista così che si può definire clerico-fascista, ma non confessionale. Lo stato fascista – aveva infatti affermato Mussolini nel suo discorso dopo la firma – rivendica in pieno il suo carattere di eticità: è cattolico, ma è fascista, anzi soprattutto, esclusivamente, essenzialmente fascista. Il cattolicesimo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente, ma nessuno pensi, sotto la specie filosofica o metafisica, di cambiarci le carte in tavola.

Di questi documenti e del conseguente regime concordatario, all’indomani della fine di una guerra persa disastrosamente, l’Assemblea Costituente si trovò a valutare la conciliabilità con la neonata democrazia repubblicana fondata sul principio di uguaglianza dei suoi cittadini e sulla piena e assoluta sovranità dello Stato.

La Democrazia Cristiana, forte del clima politico, che si era formato con la sostanziale legittimazione del nascente ostracismo anticomunista, frutto della linea antisovietica ormai prevalente nella coalizione egemonizzata dagli Stati Uniti, e favorita dalla conseguente linea di prudente accondiscendenza del Partito Comunista di Togliatti, impose che quel regime non solo fosse mantenuto, ma anche costituzionalizzato: unico caso di Accordo con uno Stato estero inserito nella Costituzione di un Paese democratico.

I Patti lateranensi, infatti, furono inseriti nell’art. 7 della Costituzione sancendo, insieme all’articolo 8, la confessionalizzazione della Repubblica: Art. 7, lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale; Art. 8, tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Si configura, così, all’interno di un generale “primato del religioso” un ruolo privilegiato per la Chiesa cattolica, garantito nei fatti da opportuni assetti politici e culturali, che ne assicurano l’egemonia nella società italiana con particolare riferimento al regime matrimoniale e alla funzione educativa.

A renderli effettivi provvede l’indipendenza finanziaria garantita alla Chiesa italiana, in verità alla sua Conferenza episcopale, dall’ingegnoso sistema dell’8 per mille introdotto in sostituzione del pagamento della congrua ai parroci. Esso affida a istituzioni religiose, esterne allo Stato, prima fra tutte la Chiesa cattolica, la gestione di una parte, l’8 per mille, del gettito tributario sulla base delle scelte dei cittadini, ma solo se contribuenti. La Cei diventa così un soggetto socio-politico forte, sia per l’esercizio di un rigido controllo centrale di un’organizzazione presente, con le parrocchie, in ogni quartiere cittadino e frazione paesana e sia per la compartecipazione al sistema educativo con proprie scuole, in gran parte in regime di parità con quelle pubbliche, in tutte le quali, per di più, “l’ora di religione” continua ad assicurarne una presenza capillare.

Complice il perpetuarsi della divisione del mondo in blocchi, questa clericalizzazione della società e le conseguenti ingerenze ecclesiastiche nel sistema istituzionale si protrassero fino a metà degli anni sessanta quando la coincidenza fra il pontificato e Giovanni XXIII e l’esplosione del Sessantotto introdussero radicali cambiamenti nelle dinamiche sociali ed ecclesiali e un modo nuovo di viverle nel mondo cattolico italiano. Non neutralizzati dall’azione di contenimento di Paolo VI, produssero una maggiore partecipazione e consapevolezza nei cittadini che si manifestarono in particolare nell’approvazione della legge che istituiva il divorzio in Italia, confermata dalla clamorosa vittoria del No al referendum, promosso dai clericali per abrogarla.

Ne derivò anche una forte sollecitazione a rimuovere il regime concordatario, che rese impossibile continuare ad impedirne la revisione da tempo da più parti auspicata. Fu pertanto costituita una Commissione per l’elaborazione di una proposta di revisione da presentare in Parlamento.

Come la stesura e la firma del Concordato sono legate all’avvento del fascismo, l’accelerazione del processo di revisione, da tempo in fase di stallo, fu raggiunta con la formazione del primo governo Craxi che ne consentì l’approvazione nel 1984. In entrambi i casi la convenienza reciproca di un partito di minoranza, giunto fortunosamente al potere, aveva fatto superare i precedenti veti incrociati, che la resistenza dei liberali prima, negli anni venti, e dei cattolici democratici poi, negli anni settanta, avevano posto.

I cosiddetti Accordi di Palazzo Madama, che ne sono derivati, sono anche frutto della disponibilità delle altre confessioni religiose a stipulare Accordi in sintonia con l’art. 8 della Costituzione generando un conformismo pattizio reso ormai omogeneo dalla progressiva accettazione di tutte le confessioni del finanziamento pubblico attraverso il sistema dell’8 per mille, che solo la Chiesa battista, pur se solo per breve periodo, aveva rifiutato.

Questi Accordi e i relativi finanziamenti hanno favorito l’affermarsi della tesi della parità fra le confessioni religiose essenziale condizione della libertà di religione.

In verità, nonostante il processo di secolarizzazione sia avanzato nel Paese, si è costituito un regime neo-confessionale a gerarchia variabile in gran parte finanziato dallo Stato: la Chiesa cattolica che gode del regime concordatario, le confessioni cristiane e la religione ebraica che hanno firmato le Intese, le confessioni che non hanno potuto o voluto firmarle e infine le diverse comunità islamiche.

Ne restano fuori per legge i cittadini non appartenenti a nessuna confessione, coinvolti, però, nel finanziamento di quelle che fruiscono della spartizione dell’8 per mille del gettito fiscale!

La libertà religiosa all’italiana mal si concilia con la libertà autentica fondata sull’uguaglianza.


L’autore di questo articolo è Marcello Vigli, tra gli animatori delle Comunità cristiane di base. Già insegnante di storia e filosofia, è attivo nella lotta anticoncordataria e sui temi della difesa della scuola pubblica statale e della laicità delle istituzioni.


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