“Mediterranean Hope”: per una nuova narrazione delle migrazioni

Da tre anni la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) è impegnata in un progetto sulle migrazioni globali denominato Mediterranean Hope-Programma Rifugiati e Migranti (Mh). Si tratta di un’iniziativa che se, da una parte, è in continuità con il lavoro più che ventennale degli evangelici in Italia in questo campo, dall’altra contiene degli elementi fortemente innovativi. Dal 2011 l’Italia e l’Europa sono al centro di importanti flussi migratori che, per composizione e origine, riteniamo diversi da quelli classici. Definendole “migrazioni 2.0” intendiamo affermare che sono il frutto di un nuovo processo che presenta allo stesso momento elementi di ordine sociale, economico e politico non distinguibili o separabili tra loro. In questo senso le migrazioni 2.0 azzerano la vecchia distinzione tra “migranti economici” e “rifugiati”, per proporci una nuova figura di migrante che subisce una serie di spinte all’emigrazione le quali, sommate, acquistano una forza che nessuna barriera può contenere. Ciò che spesso si trascura è il fatto che in una vastissima area geopolitica che va dal West Africa (Mali, Togo, Nigeria, Camerun…) sino al Corno d’Africa, passando per Eritrea e Sudan, assistiamo a fenomeni intrecciati di povertà endemica, guerre e collasso degli Stati. In questo quadro, per un numero crescente di persone non si dà più l’alternativa tra restare in patria o rischiare la vita per emigrare, ma solo quella tra la morte nel proprio Paese o il rischio esiziale di un’emigrazione.
Mh nasce proprio dalla consapevolezza di un nuovo paradigma delle migrazioni, dei particolari bisogni e delle nuove aspettative dei migranti 2.0, dell’esigenza di nuove politiche di accoglienza e integrazione, di nuovi strumenti di tutela dei diritti dei migranti e infine di una più stringente solidarietà europea nella gestione del carico derivato da nuovi e straordinari flussi.

Bonafede INTLampedusa: l’Osservatorio
Il progetto Mh si struttura su quattro pilastri. Il primo è l’Osservatorio sulle migrazioni mediterranee di Lampedusa, piccola zattera tra Europa ed Africa che sin dall’inizio dei nuovi flussi migratori è diventata approdo di migliaia di migranti. Il termine “Osservatorio” è però riduttivo. Gli operatori di Mh fanno molto di più: accolgono i migranti al molo Favaloro, curano regolari corrispondenze per varie testate nazionali e internazionali, offrono ai migranti un accesso gratuito a internet e servizi di orientamento, mantengono infine un dialogo aperto e costruttivo con la popolazione. Soprattutto garantiscono una “narrativa” delle migrazioni globali basata su esperienze vissute, storie, persone in carne ed ossa.
Lavorando sull’isola si possono cogliere i continui cambiamenti dei flussi – minori quando è praticabile la rotta balcanica, aumentati quando le politiche europee hanno bloccato migliaia di migranti a Idomeni, ecc. – o gli effetti dei nuovi hot spot (il primo aperto proprio a Lampedusa) per i quali, secondo procedure di dubbia legalità, si decide al momento se il migrante abbia titolo per richiedere l’asilo o se debba essere immediatamente respinto. Una così grave limitazione del diritto all’asilo, unita a un eccessivo numero di migranti accolti nel Centro di prima accoglienza, determina una situazione tesa che complica i rapporti con gli isolani che pure in questi anni si sono distinti per capacità di accoglienza e di relazione con i migranti.

Scicli: la Casa delle Culture
Un secondo pilastro è la Casa delle Culture di Scicli (RG), a pochi chilometri dall’hot spot di Pozzallo. Un dato spesso sottovalutato è che il 15% dei migranti sono in realtà minori non accompagnati. Un tratto distintivo delle “migrazioni 2.0” è proprio questo “investimento” familiare, che affida a un adolescente il compito (e il rischio!) del primo viaggio verso l’Europa con la speranza di un futuro ricongiungimento. A partire da questo dato Mh ha scelto di aprire un Centro di accoglienza che si pone – già nel nome – l’ambizioso obiettivo di favorire un processo di incontro, dialogo e integrazione tra i giovani migranti e la comunità circostante. La Casa delle Culture sorge infatti in pieno centro (nel cuore del set dei film “Il commissario Montalbano”), ed è dotata di un ampio salone che ogni settimana ospita eventi aperti anche alla popolazione locale. Oggi l’esperienza è consolidata e la popolazione di Scicli ne è orgogliosa, ma all’inizio il progetto aveva suscitato le reazioni xenofobe dell’estrema destra locale, assecondate da alcuni commercianti preoccupati che la Casa delle culture allontanasse clienti e turisti. Quasi tre anni dopo, possiamo dire che è accaduto l’esatto contrario: i concerti, le feste, la cucina etnica e gli eventi promossi dalla Casa delle culture costituiscono oggi una ricchezza per Scicli, all’altezza della sua tradizione democratica e della sua vocazione turistica. Inoltre, questa esperienza contraddice i teorici dell’accoglienza ghettizzata, periferica e invisibile, separata dai tessuti sociali e culturali locali. Una corretta strategia d’integrazione dovrebbe invece puntare su piccoli centri di accoglienza, promuovere l’incontro e lo scambio con la popolazione locale rispondendo costruttivamente alla sua diffidenza e alle sue paure. Ovviamente questo significa investire oltre che sull’accoglienza anche sull’integrazione. L’accoglienza non è un business e l’integrazione ha un costo che rappresenta il principale investimento affinché le migrazioni siano sostenibili, ordinate e “sopportate” dalla popolazione locale.

Roma: il Relocation Desk
Il terzo pilastro di Mh è il Relocation Desk di Roma che, oltre a garantire servizi di orientamento e sostegno legale dei migranti, offre loro un “accompagnamento” nel progetto migratorio. Anche il Relocation Desk nasce da un’evidente criticità delle politiche migratorie: in ragione del Trattato di Dublino III, come noto, i richiedenti asilo devono permanere nel Paese in cui hanno presentato domanda, anche se legami familiari, opportunità di lavoro o catene parentali li attraggono altrove. Dublino III costituisce insomma una rigidità là dove una buona politica migratoria, ispirata a criteri di funzionalità e solidarietà europea, imporrebbe di adottare criteri di flessibilità. In attesa di un suo auspicato superamento, il Relocation Desk facilita ricollocazioni sul territorio nazionale e svolge una primaria attività di sostegno al quarto pilastro di Mh.

I corridoi umanitari
I Corridoi Umanitari (Cu), quarto pilastro di Mh, rappresentano una buona pratica condivisa dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, dalla Tavola valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio, tesa a garantire mille visti per l’accesso legale e sicuro in Italia dei migranti in condizioni di vulnerabilità concentrati in Libano, Marocco ed Etiopia. Questa buona pratica, che si spera di replicare in altri Paesi europei, è stata resa possibile da un protocollo d’intesa sottoscritto dagli enti proponenti e dai Ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri nello scorso dicembre. La base giuridica dei Cu è rintracciabile nell’articolo 25 del Regolamento di Schengen che consente ai Paesi Ue di rilasciare presso le proprie sedi consolari dei “visti umanitari” a persone vulnerabili. In un costruttivo confronto con le rappresentanze ministeriali, in pochi mesi abbiamo definito i criteri di questa vulnerabilità, identificando come potenziali destinatari dei visti profughi di guerra, donne vittime di tratta, minori non accompagnati, persone malate o disabili. Ad oggi sono già arrivati in Italia circa 250 migranti provenienti dal Libano e, prima dell’estate, è già programmato il primo contingente dal Marocco. Giunti in Italia, i soggetti vengono accolti per un “congruo periodo” – come recita il protocollo – dai promotori, a loro intero carico finanziario (la Tavola valdese ha messo a disposizione una quota del suo 8 per mille).
A un quarto dell’opera – 250 visti concessi su 1000 previsti – il bilancio appare decisamente positivo. L’opinione pubblica e il mondo politico hanno compreso la priorità umanitaria del progetto e apprezzano che esso si realizzi in condizioni di assoluta sicurezza sia per i migranti (che evitano i rischi delle traversate in mare) che per gli italiani (che accolgono persone già identificate e accompagnate). Anche la società civile ha accolto con favore questa novità, sostenendola con gesti di solidarietà (biglietti aerei, fondi per le terapie, auto, abiti, case, …). È il segno incoraggiante di un’Italia diversa da quella impaurita che sembra voler scaricare sui migranti la responsabilità di tutto quello che non funziona, della crisi, della disoccupazione e del degrado di alcune aree urbane. È la retorica dell’“immigrato espiatorio”, cacciato il quale si redime la società e il Paese; un mito antico e primordiale che, benché cavalcato da certe forze politiche, non ha consistenza né futuro.


L’autrice di questo articolo è Maria Bonafede, pastora valdese. Fa parte del Consiglio della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei)


* Illustrazione di Mauro Biani, tratta dal libro Tracce migranti. Vignette clandestine e grafica antirazzista (Altrinformazione, 2015)

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