Libertà religiosa Usa: patriottismo e/o cattolicesimo

Gli Stati Uniti sono la patria della libertà religiosa nel mondo moderno occidentale, ancora prima che diventassero, con la Rivoluzione del 1765-1783, “Stati Uniti d’America”. In questo senso, gli Stati Uniti diventano la seconda patria di un’idea nata da minoranze cristiane nell’Europa delle guerre di religione che insanguinano il continente europeo per un secolo dopo la Riforma protestante. A questo fatto storico – verso il Nord America migrano minoranze cristiane dissenzienti e perseguitate nel Nord Europa della confessionalizzazione del secolo XVII – si sovrappone la mitologia dell’America della libertà religiosa come faro universale delle libertà e quindi leader del mondo libero. Il diritto alla libertà religiosa si trasforma ben presto in un diritto alla libertà di espressione e in una legge costituzionale sulla separazione tra Stato e Chiese (Primo Emendamento alla Costituzione, 1791).

Ma la storia della libertà religiosa in America diventa appunto mitologia se non si tengono presenti almeno due elementi. Il primo elemento è che la filosofia e la giurisprudenza sulla libertà religiosa in America corrono parallele (anche prima della Rivoluzione) all’istituzione della schiavitù, che non solo ha tra i suoi praticanti molti padri costituzionali e presidenti americani, ma ha anche un fondamento biblico e teologico che viene smantellato solo alla fine del secolo XIX, cioè dopo la guerra civile. Il secondo elemento è che all’affermazione e alla difesa della libertà religiosa (che negli Stati Uniti è soprattutto una libertà di professare una religione nella religione, non libertà dalla religione) si accompagna nel secolo XIX fino alla metà del secolo XX il fenomeno del nativismo: la difesa della supremazia bianca e protestante, e il rigetto degli immigrati cattolici come alieni rispetto alla nazione americana. Fattori teologici (il “papismo” dei cattolici, il biblicismo del protestantesimo americano) si mescolano al razzismo e all’isolazionismo. È un fenomeno che continua a influenzare la vita pubblica dei cattolici negli Usa fino alla prima metà del secolo XX, quando l’anticattolicesimo è il fattore principale nella sconfitta del candidato democratico e cattolico Al Smith alle elezioni presidenziali del 1928.

Il periodo tra la Seconda guerra mondiale e il Concilio Vaticano II John Fitzgerald Kennedy è lo snodo per comprendere la fine dell’anticattolicesimo negli Stati Uniti: la mobilità sociale per i cattolici americani (l’elezione del primo e unico presidente cattolico, John Fitzgerald Kennedy nel 1960), la fine della teologia cattolica della distinzione tra “tesi e ipotesi” (che è ha come conseguenza la negazione dell’idea di libertà religiosa), e le alleanze ideologiche della guerra fredda (negli Usa, tra anticomunismo cattolico e anticomunismo a stelle e strisce) cementano e allargano il patto politico-teologico americano alla triade composta da protestanti, cattolici ed ebrei, con un crescente (ma politicamente sempre minoritario) spazio per l’idea di libertà religiosa anche come libertà di non essere religiosi. Se la guerra in Vietnam incrina l’alleanza anticomunista tra l’americanismo e molti cattolici, i frutti della guerra in Vietnam portano elementi nuovi alla questione della libertà religiosa: non solo molti rifugiati dall’Asia (che spesso non sono cristiani, né ebrei), ma soprattutto l’emergere di un Islam americano la cui identità si rifà all’Islam mondiale meno di quanto non sia frutto di una reazione alla storia dello schiavismo e della segregazione razziale in America.

Negli anni settanta la breve presidenza di Jimmy Carter apre una politica estera all’insegna dei diritti umani, mentre il successore Reagan rinnova le alleanze del primo periodo della guerra fredda, che significa una comprensione dell’America come patto politico-religioso di fronte all’“impero del male”, l’Unione Sovietica. È un momento di svolta per la politica interna americana come anche per l’autocomprensione degli Stati Uniti. Fino alla metà degli anni Ottanta si ha un episcopato cattolico americano ancora formato dalla teologia del concilio Vaticano II, che resiste all’americanizzazione del cattolicesimo (le lettere pastorali del 1983 sulla pace e del 1986 sulla giustizia sociale ed economica). La nuova leva dei vescovi americani scelti da Giovanni Paolo II (e dal cardinale Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede) coincide con lo spostamento della politica dei cattolici negli Usa dal Partito Democratico a quello Repubblicano: è uno degli effetti della biopolitica (che inizia lentamente con la legalizzazione dell’aborto a livello federale nel 1973 e i primi dibattiti sull’eutanasia negli anni ‘70).

La questione della libertà religiosa negli Stati Uniti oggi è figlia di quel periodo, e plasmata da due fattori di lungo periodo, di cui abbiamo visto solo i primi effetti.

Il primo fattore che fa mutare di segno alla libertà religiosa è la questione biopolitica, specialmente per la Chiesa cattolica a causa del significato che ha, all’interno del cattolicesimo americano, della questione morale e specialmente della “legge di natura”. Durante gli otto anni dell’amministrazione Obama l’iniziativa più importante dei vescovi cattolici è stata una lotta contro alcuni aspetti della legge che estende l’assistenza sanitaria ad alcuni milioni di cittadini americani: la legge dà mandato alle compagnie assicurative, anche quelle che assicurano scuole e ospedali cattolici, di coprire anche le spese per la contraccezione e l’aborto. I vescovi obiettano che questo mandato impedisce alla Chiesa di praticare liberamente la propria fede: i vescovi fanno della libertà religiosa come diritto individuale e comunitario un diritto esercitato dalla Chiesa anche al di sopra dei diritti dei suoi membri, in un’accezione non lontana dall’idea medievale di libertas Ecclesiae. I vescovi americani, che articolano questa campagna su base giuridico-costituzionale senza molta considerazione per la dichiarazione Dignitatis Humanae del Vaticano II, fanno di questa lotta per la libertà religiosa un’iniziativa che dà il tono a tutto il loro rapporto con la presidenza Obama.

 Il secondo fattore è l’irrompere del terrorismo internazionale sul suolo americano nel settembre 2001: la “guerra al terrore” di G. W. Bush ha un carattere anche religioso che produce in quel patto politico-religioso chiamato Stati Uniti i germi dell’islamofobia. Nonostante i tentativi di Bush in persona di smentire un intento islamofobo a danno dei musulmani americani, dal 2001 in poi si assiste alle crescenti tensioni tra un’America che si intende bianca e cristiana e una parte di americani che devono provare la propria fedeltà patriottica e costituzionale nel caso non siano bianchi e/o non siano cristiani. In questo quadro vanno letti i ricorrenti tentativi dell’America profonda di delegittimare la presidenza Obama come la presidenza di un cripto-musulmano e/o di un cristiano anti-americano o di un presidente eletto nonostante fosse nato in Kenya o in Indonesia. Il candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump nella campagna elettorale del 2016 è il più noto propalatore (fin dal 2008) di queste teorie del complotto.

I passi indietro compiuti dalla libertà religiosa nella politica americana contrastano con i passi avanti della libertà di religione negli Stati Uniti, che rimangono il Paese religiosamente più plurale e tollerante al mondo. La posizione della Chiesa cattolica si è fatta imbarazzante per motivi oggettivi. La lotta dei vescovi per la libertà religiosa della Chiesa di fronte alla riforma dell’assistenza sanitaria di Obama non ha prodotto gli anticorpi necessari per rispondere a tono ai toni xenofobi e islamofobi del Partito Repubblicano conquistato da Donald Trump: l’anno 2016 si è distinto per una totale assenza della Conferenza episcopale americana dal coro di critiche contro il razzismo del candidato repubblicano. Se c’era una Chiesa da cui era lecito attendersi una difesa della libertà religiosa per tutti i gruppi religiosi, quella era la Chiesa cattolica. È una voce che non si è sentita. Questo equivale in alcuni casi ad un silente appoggio al candidato Trump, ma nella maggioranza dei casi rivela lo stato avanzato di americanizzazione di una parte del cattolicesimo americano: la libertà religiosa sottomessa al patriottismo.


L’autore di questo articolo è Massimo Faggioli, storico e teologo, docente ordinario nel dipartimento di Theology and Religious Studies alla Villanova University (Philadelphia, Usa). Si occupa di storia del cristianesimo e di cattolicesimo contemporaneo, di Storia delle istituzioni ecclesiastiche e dei nuovi movimenti cattolici, di religione e politica.


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* Foto di Daniel Oines, tratta da Flickr, immagine originale e licenza.